Da questa posizione si può cogliere bene l’irregolarità morfologica della piana agricola, i livellamenti fatti dall’uomo per omogeneizzare le superfici, i dislivelli raccordati da scarpate. Ai piedi del grande albero, uno Spino di Giuda, c’è un canaletto che scorre verso sud alimentato sia da acque di drenaggio sia di sorgente, che un tempo erano tenute in grande considerazione dai contadini, perché preziose per irrigare e drenare. In ogni campetto il sistema per distribuire e raccogliere l’acqua era minuzioso e gestito con oculatezza. A monte c’è un grande frutteto misto con ciliegie e pesche con sesti d’impianto a filare, su terreno baulato. Non è gestito con metodo biologico, ma con sistemi convenzionali e di lotta integrata. Il grande albero è una leguminosa i cui frutti penduli ricordano il carrubo. È una pianta a foglie caduche, esotica di origine nordamericana ormai naturalizzata in Italia, piuttosto comune anche in Val d’Astino grazie alla facilità di dispersione e germinazione dei semi. I baccelli sono commestibili, soprattutto quando sono teneri, ma il suo utilizzo non è per niente diffuso. È un albero sonoro, riconoscibile anche ad occhi chiusi quando il vento agita i baccelli secchi, soprattutto dopo la caduta delle foglie. Il nome comune di tradizione biblica, Spino di Giuda, si deve alla presenza di spine allungate temibili. Anche il nome specifico latino attribuito da Linneo, triacanthos, che segue quello del genere, Gleditsia, significa tre spine.