La storia del mais


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Circa 9.000 anni fa i nativi americani iniziarono a coltivare i progenitori selvatici del mais, il teosinte (da Zea mays ssp. mexicana).
In origine il mais era una pianta molto ramificata e ricca di spighe, ma fragili e con pochi semi piccoli. Come si è arrivati a un solo fusto con una spiga compatta come la conosciamo noi? Attraverso un lento processo di osservazione, selezione, risemina durato millenni.
È probabile che le modifiche più marcate dipendano da un singolo gene in grado di inibire le ramificazioni.
Furono selezionate piante con chicchi più facili da sgranare, con ridotta dimensione delle glume, che rivestivano in origine i chicchi stessi. I 10 semi per spiga nel teosinte sono diventati centinaia (anche 1.000!) nel mais di oggi.
Furono differenziate almeno cinque sottospecie, con chicchi vitrei o farinosi, da mangiare freschi o sfarinati, che componevano un arcobaleno di colori, dal giallo al rosso, al viola.
Di questa biodiversità gli europei importarono dal XVI secolo le varietà vitree che trasformavano in polenta, all’origine delle migliaia di nuove razze selezionate nel Vecchio Mondo.
Queste varietà sono a rischio di estinzione, sostituite da poche varietà oggi coltivate, più produttive ma con diverse caratteristiche nutrizionali, destinate al consumo animale.
 

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